Commessa risponde male a cliente: licenziamento illegittimo

Commessa risponde male al cliente: no al licenziamento

(foto Shutterstock)

La Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento stabilito da un’azienda per una commessa che aveva sbottato contro un cliente

Con l’ordinanza 13744 del 2 maggio 2022, la Corte di Cassazione ha concluso l’iter giudiziario cominciato nel 2018 dopo impugnazione licenziamento da parte della lavoratrice.

Tutti e tre i gradi di giudizio hanno dato ragione alla commessa: «sbuffare» contro un cliente non è una condotta così grave da giustificare il licenziamento disciplinare.

Il caso

Siamo onesti: non sempre è facile mantenere la pazienza. Quante volte ci siamo dovuti trattenere dal rispondere male a un cliente maleducato e cafone? In questo caso, all’ennesima richiesta del cliente, la commessa ha esclamato «non me ne frega un c—o!».

La condotta è stata portata all’attenzione dell’azienda, che l’ha licenziata per giusta causa. Tuttavia, la lavoratrice non si è data per vinta, ha impugnato il licenziamento e ha vinto in tutti i gradi di giudizio.

Quali sono i principali obblighi di una commessa?

La dipendente è stata licenziata perché, secondo l’azienda, ha commesso una grave violazione degli obblighi, tale da incidere irrimediabilmente sul vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro.

È dunque necessario scorrere gli obblighi che deve rispettare una commessa. Oltre ai doveri di buona fede, correttezza e di ordinaria diligenza previsti per tutti i lavoratori, il contratto collettivo del terziario distribuzione e servizi prevede alcune specificazioni.

È la stessa Corte di Cassazione a riprendere le norme citate dall’azienda nella contestazione disciplinare.

Secondo l’art. 220 del citato contratto collettivo, «Il lavoratore ha l’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri e il segreto di ufficio, di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri» (comma 1); «Il lavoratore ha l’obbligo di conservare diligentemente le merci e i materiali, di cooperare alla prosperità dell’impresa» (comma 2).

Come si valuta la giusta causa di licenziamento?

Sussiste la giusta causa in presenza di una condotta talmente grave da non consentire, nemmeno in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto.

Ma come si valuta in concreto la gravità della condotta?

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, il contratto collettivo aveva previsto la giusta causa di licenziamento solo nel caso di grave violazione degli obblighi a carico della commessa. 

Tutti e tre i gradi di giudizio hanno escluso la gravità della violazione per i seguenti motivi:

la dipendente non aveva avuto alcun precedente disciplinare nella propria ventennale carriera

l’espressione, seppur volgare, è ormai divenuta parte del «comune intercalare»

l’esclamazione è stata udita esclusivamente dal cliente e non dai colleghi o da altri avventori del punto vendita.

Licenziamento illegittimo, conseguenze

Reintegra sul posto di lavoro o solo risarcimento del danno? La sentenza della Corte di Cassazione è molto interessante anche sotto il profilo della tutela concessa alla lavoratrice.

 La Suprema Corte, confermando la correttezza delle sentenze dei precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto che la condotta della lavoratrice doveva essere sanzionata con la multa e non con il licenziamento.

 Ciò perché è lo stesso contratto nazionale a prevedere la sanzione conservativa della multa nel caso di «negligenza».

 Siccome l’azienda ha adottato la sanzione espulsiva invece della sanzione conservativa prevista, si deve applicare la tutela reintegratoria attenuata: reintegra sul posto di lavoro e risarcimento del danno, con un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

 

 

Leggi anche:

Impugnazione licenziamento, che cos’è e come funziona

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