La giurisprudenza è molto severa nella valutazione dei comportamenti dei lavoratori che hanno commesso un furto in azienda: anche il furto di beni di modesto valore può giustificare il licenziamento per giusta causa
Il licenziamento per giusta causa, detto anche “licenziamento in tronco”, può essere adottato quando il lavoratore ha commesso un fatto così grave da non rendere accettabile che il lavoratore resto nel suo posto di lavoro. È disciplinato dall’art. 2119 del codice civile che definisce la giusta causa come la “causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Se il lavoratore ruba beni aziendali di scarso valore, può essere licenziato per giusta causa? La giurisprudenza si è pronunciata ripetutamente su casi simili e ha sempre adottato un giudizio molto severo: lo scarso (o nullo) valore del bene rubato non è di per sé rilevante e può portare al licenziamento.
La gravità dei fatti ai fini del licenziamento per giusta causaÈ il licenziamento inflitto senza preavviso a fronte di una condotta del dipendente talmente grave da non consentire la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto. More non richiede che l’azienda abbia subito un danno grave o che il lavoratore abbia rubato beni di notevole valore. Questi comportamenti, infatti, intaccano il legame fiduciario che caratterizza il rapporto datore e lavoratore anche se il bene rubato non ha valore. Secondo la giurisprudenza la modesta entità dei beni rileva sotto il profilo del valore sintomatico rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore (sentenza n. 24014 del 12 ottobre 2017). Significa, in altri termini, che la società può ritenere gravissime anche condotte che hanno provocato un danno trascurabile o magari non hanno provocato alcun danno, come nel caso in cui il lavoratore non sia riuscito ad uscire dall’azienda con i beni sottratti. Questo perché si ritiene probabile che, se uno ruba, potrà anche in futuro rubare.
Applicando tali principi, la Corte di CassazioneÈ l’organo di vertice della magistratura ordinaria italiana e rappresenta l’ultimo grado di giudizio ricorribile. Ad essa spetta, in via definitiva, l’ultima parola sulla legittimità o meno di una sentenza. More (vedi ad esempio, la sentenza n. 24014 del 2017) ha ritenuto che anche il furto di caramelle, per un valore inferiore a 10 euro, integra gli estremi della giusta causa di licenziamento. Anche in questo caso la Suprema Corte non ha valorizzato l’esiguità del valore del bene, quanto il «valore sintomatico che può assumere una simile condotta rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che può nutrire l’azienda» nei confronti del proprio dipendente.
E se il dipendente ruba beni aziendali destinati al macero? Nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, gli oggetti non avevano alcun valore economico, in quanto destinati ad essere distrutti in una discarica. Ebbene, anche in questo caso è stato ritenuto che il furto integrasse gli estremi per il licenziamento per giusta causa. Secondo la Suprema Corte, a prescindere dal valore dei beni o della tenuità del fatto, la condotta va valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, che risulta «obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro» (sentenza n. 12798 del 12 ottobre 2018).