Cosa è importante sapere
Il distacco all’estero (o distacco internazionale) è un periodo in cui il lavoratore svolge la propria attività lavorativa in un altro Paese, pur mantenendo un rapporto di lavoro con il proprio datore di lavoro in Italia.
Si fonda sull’accordo tra il dipendente e il datore di lavoro che, per soddisfare un proprio specifico interesse, non di natura meramente economica, lo mette a disposizione di un soggetto terzo che si trova all’estero.
Spesso tale soggetto terzo e la società italiana sono parte dello stesso gruppo di imprese, ma questo non è obbligatorio.
La società italiana (distaccante) rimane titolare del rapporto di lavoro con il dipendente, anche per quanto riguarda il potere disciplinare, mentre la società estera (distaccataria) ha il compito di organizzare e dirigere l’attività del lavoratore e fruire in concreto della sua prestazione.
Il lavoratore durante il periodo estero resta un dipendente italiano: il rapporto di lavoro, quindi, continua ad essere regolato dal diritto del lavoro italiano e dalle norme del contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More di settore.
Naturalmente, si applicano anche le previsioni del contratto di lavoro individuale e quelle contenute nella lettera di distacco, che deve essere firmata da entrambe le parti.
Inoltre, a seconda del Paese in cui il lavoratore viene inviato, bisogna verificare se ci siano regole straniere che devono essere applicate anche ai lavoratori in distacco.
In Europa, ad esempio, vanno sempre applicate, quando più favorevoli per il lavoratore, le norme estere in materia di orario di lavoro, stipendio minimo, ferie, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, tutela della maternità e non discriminazione.
No, entro certi limiti. I lavoratori distaccati all’estero continuano a versare i contributi in Italia fino a quando consentito dagli accordi stipulati tra l’Italia e gli altri Stati.
In Europa il limite massimo è di 24 mesi, prolungabile fino ad un massimo di 5 anni ma solo per fondate ragioni e con il consenso dell’autorità previdenziale estera (che non sempre è facile ottenere).
Per quanto riguarda i limiti relativi agli altri Paesi è invece necessario verificare cosa è previsto dal singolo accordo.
Quando non c’è un accordo tra l’Italia e il Paese estero, il lavoratore distaccato continua a versare i contributi in Italia per tutto il periodo di distacco indipendentemente dalla sua durata; in questo caso, però, è possibile che anche nel Paese estero venga chiesto di versare dei contributi.
In caso di infortunio o malattia professionale all’estero il dipendente continua ad essere coperto dall’ente assicurativo italiano (INAIL), che deve però essere sempre avvisato quando il lavoratore viene messo a svolgere un’attività diversa che potrebbe comportare nuovi rischi.
Si. Il lavoratore distaccato all’estero corre spesso il rischio di vedere assoggettato lo stesso reddito sia alla tassazione italiana che a quella estera.
Ciò accade quando entrambi i Paesi (Italia e Paese estero) hanno il diritto di tassare un determinato reddito, uno perché Paese di residenza fiscale del lavoratore e l’altro perché Paese di lavoro.
Se, invece, il lavoratore trasferisce anche la propria residenza fiscale nel Paese estero, quest’ultimo diventa l’unico titolare del diritto di tassare il reddito prodotto nel periodo di distacco e tendenzialmente non vi è più il rischio di doppia tassazione.
Comunque, le eventuali doppie imposte pagate all’estero possono generalmente essere recuperate, anche se quasi mai totalmente, attraverso un particolare meccanismo (“credito di imposta”).