Licenziamento piccola azienda: quanto si prende?

img. 1: "donna alla scrivania e in primo piano un martello da giudice"
(foto Shutterstock)

Quali sono le tutele previste dalla legge per i dipendenti di piccole imprese licenziati illegittimamente

Stando all’ultimo rapporto dell’INPS, in Italia le “piccole aziende” rappresentano il 93% delle realtà imprenditoriali e coinvolgono circa il 32% del totale degli occupati.

In caso di licenziamento illegittimo da parte di una piccola azienda, per il lavoratore esistono diverse tutele a seconda dei motivi per cui c’è stato l’annullamento. Si va dalla reintegrazione sul posto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate, fino a una manciata di mensilità per i lavoratori con meno anzianità. 

In questo articolo vedremo quali sono i casi più frequenti e quali sono le tutele previste nelle diverse situazioni.

Differenza tra azienda piccola e medio-grande

Prima di cominciare l’approfondimento, è necessario chiarire che cosa si intende con l’espressione “piccola azienda”. 

La distinzione tra “piccola” e “medio-grande” è offerta dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ed è legata al requisito occupazionale, cioè al numero di lavoratori occupati dall’organizzazione.

Sono considerate aziende “medio-grandi” quelle che, alternativamente, soddisfano questi requisiti di dimensione:

  • in tutto il territorio occupano in totale più di 60 dipendenti;
  • in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupano più di 15 lavoratori;
  • nello stesso comune occupano più di 15 dipendenti.

La norma non dà una definizione di piccola impresa in questo caso, ma lo possiamo dedurre per esclusione: una piccola azienda è un’organizzazione che non raggiunge questi limiti occupazionali.

Le regole previste

Non è un’impresa facile trovare le norme che disciplinano quali sono i risarcimenti economici previsti nel caso in cui una persona sia vittima di licenziamento illegittimo da parte di una piccola azienda.

Le previsioni normative sono due, a seconda della data di assunzione:

  • per gli assunti prima del 7 marzo 2015 si applica la legge 604 del 1966
  • chi è stato assunto dopo questa data, invece, è soggetto al Jobs Act, cioè il decreto legislativo 83 del 2015.

Nel primo caso, quando “risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo” è previsto il riconoscimento di un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. 

Il numero di mensilità dipende da diversi fattori, come il numero di dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di servizio, il comportamento e le condizioni delle parti.

L’indennità, poi, può essere aumentata fino a 10 o 14 mensilità in base alla anzianità di servizio e alla dimensioni dell’azienda.

Le novità introdotte dal Jobs Act

Per i lavoratori assunti a partire dall’8 marzo 2015, come visto, la tutela è offerta dal decreto legislativo 23 del 2015.

L’articolo 9 prevede che “se non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo oppure non ci sono i presupposti per il licenziamento per ragioni economiche” (tecnicamente “giustificato motivo oggettivo”), il giudice “dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento” e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità pari a una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 6 mensilità.

Attenzione però: il calcolo dell’indennità ora non è più matematico. Infatti la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 194 del 2018, ha dichiarato che è costituzionalmente illegittimo definire l’ammontare del risarcimento del lavoratore soltanto con un criterio matematico.

Questo significa che rimane valido il limite massimo delle 6 mensilità, ma il calcolo deve essere fatto tenendo conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche di altri fattori, come le dimensioni aziendali e il comportamento delle parti.

L’indennità non corrisponde precisamente a una mensilità, ma considera l’“ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”, che comprende, ad esempio, anche la tredicesima e altre voci della busta paga.

Questo sistema di tutele, da 3 a 6 mensilità, è stato fortemente criticato dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza numero 183 del 2022 ha affermato che “un sistema siffatto non attua quell’equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un’efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi”.

Quando è considerato nullo

La nullità è il vizio più grave che può colpire un licenziamento. Talmente grave che, secondo il nostro ordinamento, se viene considerato nullo è come se non fosse mai stato notificato.

I casi di nullità sono quelli, ad esempio, del licenziamento nel periodo protetto di maternità o del matrimonio, i licenziamenti discriminatori o ritorsivi o dettati da altro motivo illecito.

In tutti questi casi, anche il lavoratore di una piccola azienda, e a prescindere dalla data di assunzione, ha diritto a essere reintegrato sul posto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni dal giorno del licenziamento a quello di effettiva ripresa in servizio. In alternativa alla reintegra, può optare per l’indennità sostitutiva, pari a 15 mensilità.

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