Gender Equity e lavoro: vera parità o marketing di facciata?

Gender Equity e lavoro
(foto Shutterstock)

Il tema della parità di genere nel mondo del lavoro è più attuale che mai, ma quanto di ciò che viene dichiarato si traduce in azioni concrete? 

di Anita Falcetta, Presidente Women of Change Italia

Il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum offre una panoramica chiara: nonostante i progressi, il cammino verso la gender equity è ancora lungo e accidentato.

Gender Equity: i numeri del divario di genere

Il rapporto analizza 146 economie, valutando quattro dimensioni principali:

  • partecipazione economica
  • istruzione
  • salute e sopravvivenza
  • empowerment politico. 

Il punteggio globale di parità di genere sul lavoro è del 68,6%, con un miglioramento di appena 0,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente. A questo ritmo, si stima che ci vorranno 134 anni per raggiungere la piena gender equity.

Tra i dati più significativi:

  • Solo il 60,5% del divario economico è stato colmato, con una lenta ripresa post-pandemia;
  • L’empowerment politico rimane il divario più ampio, con solo il 22,5% chiuso;
  • Le donne rappresentano il 42% della forza lavoro globale, ma solo il 31,7% dei ruoli di leadership.

All’alba del nuovo anno, l’INPS ha pubblicato alcuni dati incontrovertibili nel suo Rendiconto di genere 2024 che dimostrano quanto ancora siano rilevanti le condizioni di svantaggio delle donne nel nostro Paese, nell’ambito lavorativo, familiare e sociale.

Nel 2023, il tasso di occupazione femminile in Italia si è attestato al 52,5%, rispetto al 70,4% degli uomini, evidenziando un divario di genere significativo pari al 17,9 punti percentuali. Inoltre, le assunzioni femminili hanno rappresentato solo il 42,3% del totale.

Anche l’instabilità occupazionale coinvolge soprattutto il genere femminile in quanto solo il 18% delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato a fronte del 22,6% degli uomini. Le lavoratrici con un contratto a tempo parziale sono il 64,4% del totale e anche il part-time involontario è prevalentemente femminile, rappresentando il 15,6% degli occupati, rispetto al 5,1% dei maschi.

Il gap retributivo di genere rimane un aspetto critico, con le donne che percepiscono stipendi inferiori di oltre venti punti percentuali rispetto agli uomini. In particolare, fra i principali settori economici, la differenza è pari al 20% nelle attività manifatturiere, 23,7% nel commercio, 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione, 32,1% nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese.

Appena il 21,1% dei dirigenti è donna, mentre tra i quadri il genere femminile rappresenta solo il 32,4%. Ciò nonostante, come dichiarato di recente da autorevoli fonti giornalistiche, sono aumentate le donne al vertice nelle Istituzioni e nella Finanza, e nei board delle quotate le consigliere sono il 43%, dato migliorabile considerando che in questi settori come nei settori STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), la rappresentanza femminile è ancora decisamente inferiore rispetto a quella maschile.

Sebbene il Future of Jobs Report del World Economic Forum evidenzi una crescente domanda di professionisti in settori come l’Intelligenza Artificiale, i Big Data, l’Ingegneria, il Fintech e lo Sviluppo Software, i dati di McKinsey & Company (2024) rivelano una realtà preoccupante: nonostante le donne laureate superino numericamente gli uomini, solo il 38% dei laureati in materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) è di genere femminile, appena il 22% dei posti di lavoro tecnologici nelle aziende europee è occupato da donne. 

Questo divario non solo limita l’accesso delle donne a carriere in settori ad alto rendimento, ma riflette anche il peso di bias e stereotipi, sia consapevoli che inconsapevoli, radicati nella società.

Valicare questi pregiudizi è fondamentale per incoraggiare le donne a intraprendere percorsi di studio tecnico-scientifici e a inserirsi in ambiti lavorativi che richiedono competenze avanzate, le cosiddette hard skill. Questo rappresenterebbe un passo cruciale verso l’indipendenza economica femminile, contribuendo al superamento di ogni forma di violenza di genere legata alla subordinazione finanziaria.

Gender equity in Italia e la certificazione per la parità di genere

Per rispondere concretamente alle esigenze di cambiamento, in Italia quasi 6.000 aziende hanno ottenuto la certificazione per la parità di genere negli ultimi tre anni, superando di gran lunga il target fissato dal PNRR per il 2026. 

Questo risultato è stato incentivato da sgravi fiscali e punteggi aggiuntivi nelle gare pubbliche. Tuttavia, le piccole e medie imprese (PMI) restano una sfida, nonostante i fondi specifici stanziati per supportarle.

Le aziende certificate hanno mostrato progressi significativi, soprattutto nella governance della diversità, equità e inclusione (DE&I) e nelle iniziative per favorire l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Tuttavia, i miglioramenti nei KPI quantitativi, come la riduzione del divario retributivo e l’aumento delle donne in ruoli dirigenziali, richiedono più tempo.

Un aspetto fondamentale del dibattito è la distinzione tra gender equity e gender equality. La gender equality si concentra sulla parità di trattamento, garantendo gli stessi diritti e opportunità a uomini e donne. La gender equity, invece, mira a compensare le disuguaglianze storiche e strutturali, adottando misure specifiche per creare condizioni di reale parità. Ad esempio, politiche di congedo parentale flessibili o programmi di mentoring per le donne, sono strumenti di gender equity che aiutano a colmare il divario di opportunità.

Le aziende sono chiamate a svolgere un ruolo cruciale nella promozione delle pari opportunità. Possono mettere in atto azioni concrete per dimostrare l’autenticità del proprio impegno, tra cui:

  • Implementare una politica di parità di genere e buone pratiche per la tutela delle donne e delle minoranze;
  • Implementare una politica per la valorizzazione della maternità, genitorialità e carico di cura e buone pratiche correlate;
  • Implementare una politica di tolleranza zero e buone pratiche per prevenire e contrastare ogni forma di violenza e molestia di genere sui luoghi di lavoro;
  • Implementare una politica per garantire la parità salariale a parità di mansioni, in ottemperanza della nuova Direttiva UE sulla trasparenza retributiva, che entrerà in vigore il 1° giugno 2026;
  • Implementare una politica di comunicazione di parità interna ed esterna, con apposite linee guida per riconoscere ed eliminare i bias, sul linguaggio inclusivo, sulla leadership partecipativa, sull’equa rappresentanza nei panel;
  • Offrire programmi di mentoring e formazione per tutte le risorse, dal vertice alla base, sui temi della DE&I, non solo alle donne;
  • Creare iniziative in partnership con i portatori di interesse esterni (i cosiddetti stakeholder esterni: altre aziende, istituzioni, enti, fondazioni, scuole, università, terzo settore), iniziative che abbiano come focus la divulgazione dei temi di cui sopra;
  • Realizzare un piano strategico per la parità di genere con un budget definito;
  • Stabilire obiettivi chiari per aumentare la rappresentanza femminile in ruoli di leadership.

Solo attraverso queste azioni le aziende, e in genere le organizzazioni pubbliche e private, possono rispondere ai KPI (indicatori chiave di prestazione) della UNI / PdR125.2022, ma soprattutto possono testimoniare un reale impegno, sia all’interno che all’esterno, nella promozione dei principi di uguaglianza sostanziale e valorizzazione delle diversità, intese come unicità in grado di apportare valore.

In conclusione, la gender equity non è solo uno slogan o una strategia di marketing, se così fosse molte realtà correrebbero il pericolo del Pink Washing, che porterebbe loro solo ritorni negativi, come attestato da alcuni casi recenti.

Essa tuttavia implica uno sforzo in termini di cambio di mind-set per far sì che si traduca in un impegno concreto e misurabile. Serve consapevolezza sia in ambito sociale che a livello di governance. 

I progressi, seppur lenti, dimostrano che il cambiamento è possibile, certamente nel rispetto della complessità delle organizzazioni pubbliche e private, le cui dinamiche non possono essere stravolte ma vanno comprese e accompagnate nel processo di transizione verso forme di leadership più inclusive, fondate sul principio di autorevolezza piuttosto che di autorità.

Le aziende che investono nella diversità e nell’equità di genere non solo contribuiscono a una società più giusta, ma ottengono benefici in termini di innovazione, produttività e reputazione.

Gianluca Spolverato analizza il mondo del lavoro con passione raccontandoci il suo punto di vista da profondo conoscitore della materia e valorizzando i temi più complessi riguardanti il diritto del lavoro.

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