Cassazione e prescrizione crediti da lavoro: quando decorre termine?

Crediti da lavoro: quando comincia a decorrere il termine di prescrizione? Interviene la Corte di Cassazione
(foto Shutterstock)

La prima sentenza della Suprema Corte sul momento da cui comincia a decorrere la prescrizione dei crediti dei lavoratori

La sentenza numero 26264 del 6 settembre 2022 è la prima pronuncia della Corte di Cassazione sul tema della decorrenza della prescrizione dei crediti da lavoro. La Suprema Corte ha affermato che in tutti i contratti di lavoro a tempo indeterminato, la prescrizione decorre al termine del rapporto e in costanza. La motivazione? Il lavoratore potrebbe temere ripercussioni dall’azienda nel momento in cui avanza delle rivendicazioni.

Che cos’è la prescrizione del credito?

La prescrizione è una delle modalità di estinzione del credito. È legata allo scorrere del tempo: se un soggetto omette di esercitare un proprio diritto per un determinato periodo, tale diritto si estingue per legge. Secondo la Cassazione, si tratta di «un principio di affidabilità per tutti: sull’effettività dei diritti e sulla loro tutela, sulle relazioni familiari e sociali, sulle transazioni economiche e finanziarie.» 

L’importanza della questione e il quesito sottoposto alla Cassazione

In ambito lavorativo, significa che un dipendente ha un determinato arco di anni per far valere le proprie pretese, ad esempio per stipendi non pagati o per pretendere il pagamento degli straordinari. D’altra parte, anche per l’azienda è importante sapere entro quanto tempo può subire le rivendicazioni da parte dei propri collaboratori.

La norma codicistica, più volte modificata dalla Corte Costituzionale, prevede che i crediti da lavoro si prescrivono in 5 anni. Tuttavia, anche per effetto della normativa sostanziale, gli interpreti del diritto si sono dibattuti attorno ad un altro quesito: da quando cominciano a decorrere i 5 anni?

La sentenza: la prescrizione decorre solo al termine del rapporto

Per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle «piccole» aziende, la prescrizione decorre dalla fine del rapporto. È un principio pacifico e mai messo in discussione. La questione riguarda, invece, i rapporti di lavoro per cui si applica l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ossia per tutti i dipendenti di aziende con più di 60 dipendenti oppure che occupano più di 15 lavoratori in un’unità produttiva o all’interno dello stesso comune.

Per questi lavoratori, prima della riforma introdotta dalla Legge Fornero (poi seguita dal Jobs Act), era pacifico che la prescrizione dei crediti decorresse in costanza di rapporto. Ciò perché, nel caso in cui il lavoratore fosse stato licenziato (anche per aver magari rivendicato differenze retributive), la tutela prevista era sempre la reintegra in azienda e il pagamento di tutti gli stipendi dal licenziamento al ripristino del rapporto.

La Legge Fornero e il Jobs Act non consentono di prevedere la tutela in caso di licenziamento

Questa è la motivazione della Suprema Corte: le riforme dei licenziamenti introdotte dal 2012 in poi non consentono più una predeterminazione certa (ed ex ante) della tutela in caso di licenziamento. Manca, dunque, la «stabilità» certa del rapporto che consentirebbe al dipendente di esercitare i propri diritti anche in costanza di rapporto. 

Sempre secondo la Cassazione, nemmeno le sentenze della Corte Costituzionale sarebbero in grado di assicurare una previsione certa della tutela a favore dei lavoratori e perciò l’attuale quadro normativo non è in grado di assicurare «un altrettanto adeguata stabilità del rapporto di lavoro».

 Che cosa significa? Che il lavoratore, a causa dell’incertezza sulla futura tutela, si ritrova in uno stato di timore tale per cui, in costanza di rapporto, è portato a non esercitare i propri diritti.

 Gli effetti della sentenza: si torna indietro di 15 anni

Sulla base di queste considerazioni, la Cassazione ha ritenuto che anche per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze di aziende che soddisfano i requisiti dimensionali citati, la prescrizione decorre solo al termine del rapporto. In questo modo, non c’è più alcuna differenza, in punto prescrizione, tra lavoratori di piccoli e lavoratori di medie e grandi imprese.

Gli effetti? Al termine del rapporto, i dipendenti hanno 5 anni di tempo per rivendicare tutti i diritti maturati in costanza di rapporto, anche risalenti a molti anni fa. Ad esempio, applicando tale principio, se il rapporto è tuttora in corso, un lavoratore, al momento della cessazione, potrà rivendicare diritti maturati da fine luglio 2007 in poi.

 

 

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