Sono dei permessi speciali previsti dalla legge 104 del 1992: 3 giorni al mese che spettano ai lavoratori, cosiddetti caregiver, che devono fare assistenza ad un familiare con handicap grave accertato. Il familiare ha poi diritto di usufruire di un congedo straordinario della durata massima di due anni per ciascun portatore di handicap e nell’arco della vita lavorativa (art. 42 d. lgs. 151/2001).
I permessi devono essere utilizzati per prestare assistenza al familiare non autosufficiente. L’art. 33 della legge 104 del 1992 parla genericamente di “assistenza alla persona”, senza alcuna ulteriore precisazione.
Ciò significa che il lavoratore si può assentare dal lavoro per prestare assistenza domiciliare al proprio parente, accudirlo o accompagnarlo a visite mediche. Si tratta di attività che rientrano pacificamente nel concetto di “assistenza”, in cui il lavoratore è personalmente al fianco del parente disabile.
I permessi possono essere utilizzati anche per attività diversa dalla assistenza personale al proprio familiare. È tuttavia opportuno chiarire ciò che è possibile fare, da ciò che invece rappresenta un abuso dei permessi 104.
Innanzitutto, l’intero arco temporale del permesso deve essere utilizzato a favore del familiare ed è vietato un uso solo temporaneo o parziale. In altri termini, non è possibile dedicarsi ad altre attività private o personali durante l’utilizzo dei permessi 104: secondo la giurisprudenza, anche un solo episodio, e anche solo per poco tempo, può legittimare un provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore.
Ciò precisato, alcuni giudici consentono che l’assistenza possa essere prestata «con modalità e forme diverse e anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’immediato interesse del familiare assistito» (Corte d’AppelloÈ l’organo che, nel sistema giudiziario italiano, è competente a giudicare sulle impugnazioni delle sentenze pronunciate dal Tribunale. More di Roma, sentenza 10 novembre 2020, n. 2426). Ma vi sono anche sentenze che adottano un’interpretazione molto restrittiva del concetto di “assistenza”: ad esempio, secondo il Tribunale di Venezia, l’acquisto di vestiario o calzature o la semplice prenotazione di una visita mediche «di per sé sole non potrebbero comunque consentire la speciale tutela dei permessi» (sentenza 25 febbraio 2019, n. 139).
Anche in questo caso bisogna fare molta attenzione. Se la spesa al supermercato serve per acquistare beni per il proprio familiare disabile, che magari è impossibilitato a muoversi da casa, questa attività può rientrare nel concetto di assistenza. In un caso molto recente, la Corte di CassazioneÈ l’organo di vertice della magistratura ordinaria italiana e rappresenta l’ultimo grado di giudizio ricorribile. Ad essa spetta, in via definitiva, l’ultima parola sulla legittimità o meno di una sentenza. More, con la sentenza n. 17102 del 16 giugno 2021, ha confermato il licenziamento del lavoratore che, durante due giorni di permesso 104, ha fatto la spesa al supermercato e poi è andato al mare, senza mai fare rientro presso l’abitazione del familiare. Secondo la Cassazione, l’utilizzo dei permessi 104 deve porsi in relazione causaleÈ il motivo, tassativamente previsto dalla legge, che deve giustificare il rinnovo di un contratto a tempo determinato, pena la sua trasformazione in rapporto a tempo indeterminato. More diretta con lo scopo di assistenza al disabile”. La conseguenza? Un simile comportamento integra una grave violazione dei doveri del lavoratore, rileva dal punto di vista disciplinare e può portare al licenziamento.
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