Il decreto del 17 marzo (n. 18, all’art. 91) ha stabilito le regole per normare la sospensione o la rinegoziazione delle prestazioni lavorative. Ecco le risposte alle domande essenziali per chiarire quali prestazioni è concesso sospendere e quali no.
No. Lo stato di emergenza non giustifica il mancato pagamento di dipendenti o fornitori. Più in generale non giustifica la sospensione di qualsiasi tipo di pagamento che un debitore deve a un creditore, e nemmeno la sospensione delle prestazioni lavorative (ad esempio la fornitura di merce dovuta a un cliente).
Il debitore può sospendere il pagamento nel caso in cui la sua prestazione lavorativa non può più essere richiesta a causa della situazione di emergenza. Così, ad esempio, se un debitore ha dovuto interrompere la propria attività, in quanto compresa fra quelle non ammesse all’esercizio perché ritenuta non essenziale, è giustificata la ritardata consegna del bene dovuto e, al limite, anche il ritardato pagamento della somma di denaro.
Spetta al giudice stabilire se la prestazione dovuta deve essere effettuata, valutando se, a causa della situazione d’emergenza, si sia verificata l’effettiva alterazione delle condizioni originariamente concordate tra le parti.
Ad esempio, nel caso del pagamento dell’affitto di un locale commerciale, non è possibile richiedere il pagamento se l’attività commerciale in questione è stata chiusa per decreto. In questo caso il debitore può sospendere il pagamento.
Sì. Il debitore che, a causa delle misure di contenimento, si è visto costretto a ridurre la propria attività e ha di conseguenza registrato una diminuzione dei ricavi, può chiedere al creditore di rinegoziare le condizioni contrattuali (ad esempio il corrispettivo dovuto) per tutto il periodo di emergenza.
È il caso, ad esempio, degli imprenditori del settore della ristorazione, con locale chiuso al pubblico, e che continuano in parte la loro attività lavorativa con le consegne a domicilio. È anche il caso delle imprese che vendono sia offline sia online, e che attualmente possono continuare a svolgere solo vendita online (ad esempio tramite e-commerce) pur continuando a utilizzare i magazzini per conservare le merci. Queste imprese, se, ad esempio, in difficoltà con il pagamento dell’affitto dei locali, possono rinegoziare le condizioni contrattuali.
In tutti i casi in cui il rispetto delle misure di contenimento impone la riduzione dell’attività, c’è un vero e proprio obbligo legale di rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
Questo anche per il periodo successivo all’emergenza: infatti vale il principio generale di buona fede nell’esecuzione di qualsiasi rapporto negoziale. Se il creditore non accoglie l’invito alla rinegoziazione, sarà esposto a un obbligo risarcitorio per violazione del principio di buona fede.