Job hopping: millennial passano da un lavoro all’altro

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(foto Shutterstock)

Il posto fisso non è una priorità: i millennial preferiscono buon work-life balance e stipendio più alto

Le priorità post pandemia sono cambiate anche per i millennial, la generazione che non ambisce al posto fisso, ma a benessere e buone prospettive di carriera. I tempi sono cambiati, e nell’ultimo decennio il contratto a tempo indeterminato è stato ampiamente sostituito da modalità più fluide di gestione delle professioni.

In tutto il mondo, Italia compresa, il lavoro si sta trasformando: sta diventando prima di tutto un modo con cui realizzare sé stessi ed esprimere le proprie attitudini e potenzialità. 

Non è più soltanto un mezzo con cui assicurarsi la sussistenza: il guadagno è importante, ma le persone si stanno abituando al cambiamento, sviluppando capacità di adattamento a professioni sempre nuove. 

Job hopping, un fenomeno in crescita

L’esempio più emblematico della trasformazione in atto è quello dei millennial, che non desiderano per forza il posto fisso e, anzi, preferiscono cambiare lavoro più spesso, con la speranza e l’ambizione di avere stipendi più alti e un buon work life balance

La possibilità di gestire il proprio tempo con maggiore libertà, infatti, è di gran lunga più importante della stabilità rappresentata dal posto fisso. Questa apertura verso la mobilità è resa possibile da un contesto generale che, a sua volta, permette alle persone di cercare nuovi lavori e cambiare azienda o professione.

A interpretare al meglio questa tendenza sono i millennial: secondo il report di LinkedIn, negli Usa, i giovani cambiano quasi 2,85 posti di lavoro nei primi 5 anni dalla laurea, contro la media di 1,6 della generazione precedente

Job hopping: le ragioni possibili 

Quali sono i motivi che spingono sempre più persone, millennial per primi, a saltare da un posto all’altro di lavoro? Secondo la società americana di analisi Gallup, 6 millennial su 10 sono aperti a nuove esperienze lavorative proprio perché, tra i loro programmi, non rientra quello di fermarsi nella posizione professionale in cui si trovano. 

Un altro motivo alla base di questa predisposizione è la mancanza di avanzamento all’interno delle aziende. I millennial sostengono che il miglioramento di posizione professionale sia molto più difficile e complesso se ci si ferma nella stessa azienda, mentre le possibilità di crescita aumentano se si cercano altri posti di lavoro. 

Non è solo l’ambizione che spinge i giovani a cambiare lavoro: vogliono poter gestire al meglio il tempo della loro quotidianità, per potersi dedicare anche ad altre attività che esulano da quelle lavorative. 

Se il luogo di lavoro non soddisfa anche questa caratteristica, e non permette un buon work life balance, questa generazione di lavoratrici e lavoratori non ha remore a cercare un nuovo impiego. 

Il 36% di loro riferisce che cercherà un lavoro con un’organizzazione diversa nei prossimi 12 mesi, rispetto al 21% dei non millennial che afferma la stessa cosa.

Perché i millennial sono così propensi a spostarsi? Come abbiamo visto, ci sono diverse ragioni dietro a questa tendenza. Una di queste è l’engagement, un tema che le aziende devono affrontare per evitare di perdere talenti e risorse importanti.

Fermare il job hopping con l’engagement

L’indagine di Gallup ha evidenziato che solo il 29% dei millennial è impegnato emotivamente nel proprio lavoro: in altre parole, i giovani di questa generazione sono meno coinvolti nella loro professione, e meno connessi alle attività che svolgono. Anche da qui nasce la facilità con cui sono disposti ad accettare nuove offerte di lavoro e i cambiamenti che questo comporta.

Riuscire a coinvolgere i lavoratori millennial è una grande sfida per le organizzazioni: le persone di questa generazione – come anche quelle della più giovane Generazione Z – mettono energia e passione nel lavoro solo quando si sentono veramente parte del progetto. 

La mancanza di coinvolgimento è una delle cause del job hopping. Se da un lato questa caratteristica si può trasformare in una buona capacità di adattamento, dall’altra evidenzia la necessità delle aziende di migliorare l’engagement e l’employer branding per trattenere e attirare i talenti.

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