Il nostro ordinamento prevede delle misure di tutela economica per tutte le persone che improvvisamente rimangono senza un’occupazione.
Nel caso in cui un lavoratore subordinato perda in modo involontario la propria occupazione, (dal 1° maggio 2015) può contare sul sostegno al reddito dell’indennità di disoccupazione erogata dall’INPS, la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpILa “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego” (NASpI) è un’indennità mensile di disoccupazione, istituita in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria che si sono verificati dal 1° maggio 2015. More).
La legge (d.lgs. 22/2015) prevede la tutela economica esclusivamente per le interruzioni involontarie di rapporti di lavoro. Dunque, ai fini della percezione della NASpI, la cessazione del rapporto di lavoro deve intervenire per cause non imputabili al lavoratore dimissionario.
È escluso quindi che spetti l’indennità di disoccupazione in caso di dimissioniL’atto unilaterale con cui il lavoratore comunica di voler interrompere il rapporto lavorativo con il datore di lavoro. More volontarie, e trattandosi, appunto, di un atto volontario del lavoratore, la legge non riconosce la tutela economica.
Differente è il caso delle dimissioni per giusta causa, ossia qualora il lavoratore sia costretto a rassegnare le dimissioni per inadempimento del datore di lavoro alle obbligazioni fondamentali a suo carico.
È il caso, ad esempio, del lavoratore vittima di mobbingComportamenti e atti, aggressivi e persecutori, messi in atto dal datore di lavoro (o dai suoi dipendenti) con lo scopo di emarginare una persona tramite violenza psichica e morale continuata nel tempo, e con lo scopo di comprometterne pesantemente la normale attività lavorativa. More o di continue vessazioni da parte del datore di lavoro, o di violazioni da parte di quest’ultimo di obblighi di legge, come ad esempio la mancata corresponsione della retribuzione per un periodo significativo o il ripetuto mancato pagamento di voci retributive, o la mancata assegnazione del lavoratore a mansioni adeguate rispetto al livello di inquadramento e all’esperienza professionale maturata.
In questi casi, il lavoratore di fatto è indotto dal datore di lavoro a dimettersi poiché non esistono più i presupposti per continuare il rapporto di lavoro.
In tali casi, la parte lesa può recedere dal contratto senza osservare il periodo di preavviso, e anzi è il datore di lavoro – che con la sua inadempienza ha causato le dimissioni – a essere tenuto a corrispondere la retribuzione che il lavoratore avrebbe maturato per la durata del periodo di preavviso previsto dal contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More.
Nella fattispecie delle dimissioni per giusta causa, dunque, dal momento che il lavoratore è costretto a dimettersi indipendentemente dalla propria volontà, la legge gli riconosce l’accesso alla NASpI.
Non in tutti i casi di dimissioni involontarie spetta la NASpI, e per quanto riguarda le dimissioni per motivi di salute il tema è tuttora dibattuto.
Vediamo gli esempi di due sentenze.
Una lavoratrice si è dimessa a causa delle condizioni di salute (in seguito a un intervento chirurgico al naso) che le impedivano di lavorare in ambiente con alta concentrazione di polveri e impiego di sostanze coloranti.
La Cassazione ha stabilito che il sopravvenuto aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore dipendente – che non consente la prosecuzione (anche provvisoria) del rapporto – costituisce giusta causa di dimissioni. In tal caso si configura un’ipotesi di non volontarietà del recesso equiparabile alla disoccupazione involontaria ai fini del riconoscimento della correlata indennità. Tale giusta causa deve consistere in circostanze di obiettiva gravità, non valutabili tali solo soggettivamente dal lavoratore, che rendano incompatibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, a prescindere dall’individuazione di un inadempimento contrattuale o comunque di una condotta colposa del datore di lavoro o di un terzo.
L’incompatibilità dello stato di salute con la prestazione lavorativa deve risultare da elementi oggettivamente verificabili.
In un altro caso, più recente, un lavoratore ha rassegnato le dimissioni per asma bronchiale da allergie alle farine, patologia che ne rendeva impossibile l’impiego all’interno di una panetteria.
La Cassazione ha affermato invece che le dimissioni del lavoratore per motivi di salute non sono riconducibili all’ipotesi di cessazione del rapporto per giusta causa – ascrivibile al comportamento del datore di lavoro o di altro soggetto – cosicché non determinano uno stato di disoccupazione involontario idoneo a percepire la NASpI.
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