Se il lavoratore aderisce volontariamente a un fondo pensione, l’azienda è obbligata a versare la propria quota
Il contributo aggiuntivo è una forma di investimento estremamente conveniente. Da nessun’altra parte, infatti, è possibile concludere un investimento che garantisca che alle somme versate si aggiunga un importo analogo (o anche maggiore), pagato da un altro soggetto.
Si tratta di uno strumento legale ed è previsto da tutti i contratti collettivi nazionali stipulati dalle maggiori sigle sindacali e dalle associazioni datoriali. È una grandissima opportunità per tutti i lavoratori che hanno deciso di destinare il proprio TFR a un fondo pensione.
La possibilità di ricorrere al cosiddetto « contributo aggiuntivo» è subordinata alla scelta di destinare il proprio TFR a un fondo pensione. Cosa significa?
Dal 2007, ciascun dipendente ha diritto di scegliere se mantenere il TFR in azienda o di destinarlo a un determinato fondo.
È una scelta importante, perché ha effetti sia sul momento in cui verrà pagato il trattamento di fine rapporto, sia sulle modalità di incasso e di rendimento delle somme.
La scelta se mantenere il TFR in azienda deve essere comunicata entro e non oltre sei mesi dall’instaurazione del rapporto. In mancanza di una scelta, questo viene destinato al fondo di previdenza complementare istituito dal contratto collettivo applicato in azienda.
La possibilità di poter chiedere il contributo aggiuntivo spetta solo ai lavoratori che abbiano deciso, espressamente o tacitamente, di destinare il TFR a un fondo pensione. Pertanto, chi conserva il TFR in azienda non ha diritto a usufruire di questa forma di investimento.
No, è sempre una scelta volontaria e discrezionale del lavoratore. Significa che chi aderisce a un fondo non è automaticamente obbligato ad attivare anche il contributo aggiuntivo.
Dal lato opposto, invece, nel caso in cui il dipendente scelga di attivare il contributo aggiuntivo, scatta l’obbligo a carico dell’azienda di versare l’ulteriore quota di contribuzione.
Il meccanismo è molto semplice: l’attivazione del contributo consiste in una somma, in percentuale o in misura fissa, che il lavoratore versa ogni mese in aggiunta agli importi versati a titolo di TFR.
È una percentuale della retribuzione che si somma al TFR e che viene devoluta al fondo. Dal lato dell’azienda il funzionamento è il medesimo: la società deve pagare un ulteriore importo in aggiunta al TFR.
Facciamo un esempio: se un dipendente, oltre al TFR, ha deciso di versare un contributo aggiuntivo del 1% della propria retribuzione, il suo datore di lavoro è automaticamente obbligato a versare l’1% a favore del fondo. Se la retribuzione mensile è di 2.000 euro, significa che il lavoratore versa 20 euro e l’azienda ne deve versare altrettanti.
Dipende dalle previsioni dei singoli contratti collettivi e dai regolamenti dei fondi di previdenza complementare.
Vediamo alcuni esempi dei contratti e fondi più famosi:
La convenienza di aggiungere al proprio TFR una percentuale a titolo di retribuzione sta nel fatto che si tratta di un investimento redditizio. La redditività dell’investimento è garantita dal fatto che alle somme versate dal lavoratore, si sommano quelle che l’azienda è specularmente obbligata a versare a sua volta.
In questo modo, il lavoratore investe, secondo i regolamenti di ciascun fondo, un capitale pari al doppio di quello che ha effettivamente versato. Si tratta, a tutti gli effetti, di un finanziamento e di un investimento a carico dell’azienda.
Inoltre, tutti i versamenti individuali e dell’azienda sono deducibili dal reddito fino al valore di 5.164,57 euro, un dettaglio non da poco, poiché consente di poter pagare meno tasse.
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