Non ritira la raccomandata: lavoratrice perde la possibilità di impugnare il licenziamento

corriere bussa alla porta
(foto shutterstock)

Una sentenza della Cassazione ha stabilito un importante limite in merito all’impugnazione del licenziamento

In quali casi decade il diritto all’impugnazione del licenziamento

Nuove informazioni a tal proposito arrivano dalla sentenza 15397 della Cassazione del 31 maggio 2023: confermando le due decisioni dei gradi precedenti la Corte ha infatti stabilito che, in assenza dell’avviso di giacenza, gli “esiti della spedizione” rilasciati da Poste Italiane garantiscono da soli la “presunzione di conoscenza” prevista dall’articolo 1335 del codice civile.

Nel caso specifico, la dipendente aveva affermato di non aver ricevuto la lettera di licenziamento, ma la sua dichiarazione “verbale” non è stata ritenuta sufficiente dalla Corte, che ha stabilito in ogni caso la scadenza dei termini e la conseguente decadenza del diritto a impugnare il licenziamento.

Quali sono i termini per impugnare il licenziamento?

Ma quali sono, in generale, i diritti del lavoratore per impugnare il licenziamento? Le due scadenze sono stabilite dall’articolo 6 della legge 604 del 1966, e il lavoratore licenziato sarà tenuto a rispettarle entrambe:

  • l’impugnazione stragiudiziale dovrà essere inviata entro 60 giorni dalla ricezione della lettera di licenziamento.
  • Il deposito del ricorso giudiziale dovrà invece essere effettuato entro 180 giorni dalla ricezione dell’impugnazione stragiudiziale.

Entrambi i termini sono perentori: un dipendente che non rispetti entrambi perderà il diritto di impugnare il licenziamento. Se la società riuscirà a contestare (e dimostrare) la tardività dell’impugnazione da parte del lavoratore, infatti, il diritto sarà dichiarato inammissibile per “intervenuta decadenza”.

Che cos’è la presunzione di conoscenza?

Se il datore di lavoro invia la lettera di licenziamento presso la residenza o il domicilio indicati al momento dell’assunzione, la comunicazione si considererà “conosciuta” da parte del destinatario. Tale principio  è sancito dall’articolo 1335 del codice civile, secondo cui “la  proposta,  l’accettazione,  la  loro  revoca   e   ogni   altra dichiarazione  diretta  a  una  determinata   persona   si   reputano conosciute  nel   momento   in   cui   giungono   all’indirizzo   del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza  sua  colpa, nell’impossibilità di averne notizia”.

Si tratta quindi di una presunzione legale (in quanto comporta specifici effetti giuridici) ma anche relativa: come si legge, il “presunto” destinatario potrà comunque dimostrare di non aver mai ricevuto la lettera di licenziamento.

Cosa succede se il lavoratore non ritira la raccomandata o non è in casa?

Naturalmente, potrebbe capitare che il lavoratore non sia in casa al momento della ricezione della raccomandata: in questo caso, il postino lascerà un avviso di giacenza in cassetta per informare il mittente.

Dal momento dell’immissione in cassetta, la legge stabilisce un limite di 30 giorni, a seguito dei quali la comunicazione si considererà “avvenuta”. Questa modalità ha l’obiettivo di tutelare il mittente nel caso in cui il destinatario non reagisca alla ricezione della raccomandata, per evitare che possa ritardare volutamente la consegna della corrispondenza. Nel caso specifico di notifica di atti giudiziari, invece, il termine sarà ridotto a 10 giorni.

Cosa succede se non c’è alcun avviso di giacenza?

Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione aveva tuttavia un aspetto particolare: la società non era in possesso dell’avviso di giacenza e ha potuto dimostrare la ricezione della lettera di licenziamento da parte della dipendente solo dagli estratti della spedizione forniti da Poste Italiane. La lavoratrice si è quindi difesa sostenendo di non aver mai ricevuto tale comunicazione e di aver impugnato tempestivamente il licenziamento.

La Corte di Cassazione, rispettando le sentenze di primo e secondo grado, ha tuttavia ribadito la tardività del licenziamento, confermandolo. Secondo la Corte, che ha ripreso le motivazioni della sentenza di appello, “pur in mancanza di produzione di copia dell’avviso immesso in cassetta, la (…) ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative, provenienti da Poste Italiane, dalle quali si desumono la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l’ufficio postale, la sua restituzione al mittente all’esito della compiuta giacenza, è documentazione idonea a fondare la presunzione di legale conoscenza, perché estratta dai dati informatici di Poste Italiane, soggetto al quale è affidato il servizio pubblico essenziale rappresentato dal servizio postale universale con attribuzione di funzioni di certificazione”.

Contestare la mancata ricezione non sarà sufficiente

Inoltre, continua la Corte di Cassazione, per il lavoratore non sarà sufficiente lamentare la mancata ricezione della comunicazione, ma andrà fornita una prova rigorosa. “A fronte di tale documentazione, giudicata (…) idonea a fondare la presunzione legale di conoscenza ai fini dell’art. 1335 c.c. con motivazione logica e congrua”, spiega la Corte, “non è stata fornita, da parte della destinataria della comunicazione del licenziamento, la prova dell’impossibilità di averne notizia senza colpa”.

Vi è infine un ulteriore aspetto importante da tenere in considerazione: per il lavoratore sarà ancora più difficile dimostrare la mancata ricezione della lettera di licenziamento nel caso in cui l’azienda abbia spedito la lettera all’indirizzo indicato dal dipendente per ricevere comunicazioni di lavoro.

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