Ci sono dei casi in cui la maternità è anticipata dal datore di lavoro e degli altri in cui invece viene erogata direttamente dall’INPS
L’INPS è l’Ente previdenziale che assicura ai lavoratori una prestazione economica, cioè una somma di denaro, nel caso in cui si verifichino determinati eventi, come ad esempio la malattia o la maternità.
In quest’ultimo caso, la lavoratrice ha diritto per tutto il periodo di astensione obbligatoria a ricevere un’indennità economica che le assicura una retribuzione il più possibile simile a quella che riceve normalmente, quando lavora.
Questa tutela è garantita anche per il periodo di astensione facoltativa dopo i 5 mesi obbligatori. In questo caso, però, la somma che viene versata è più bassa.
In genere comunque, a prescindere dal tipo di astensione, i soldi vengono anticipati dal datore di lavoro in nome e per conto dell’INPS, tranne in alcuni casi specifici individuati dalla legge. Scopriamo insieme le diverse ipotesi.
Per rispondere a questa domanda bisogna sapere che i metodi di pagamento variano a seconda del settore di impiego della lavoratrice.
Nella maggior parte dei casi, secondo quanto stabilito dal Testo unico della maternità e della paternità, vale la regola per cui è il datore di lavoro ad anticipare il trattamento economico specifico, che rimane però di competenza esclusiva dell’INPS.
Questo significa che la lavoratrice troverà nella propria busta paga la voce aggiuntiva “indennità di maternità” intestata all’INPS anche se erogata dal proprio datore.
Sempre nel Testo unico, viene fatto richiamo a una legge molto datata ma importante.
Secondo questa disposizione, l’INPS paga direttamente l’indennità di maternità a favore delle seguenti lavoratrici:
Perché in questi casi è l’INPS che versa direttamente il denaro, e non il datore di lavoro? Perché si tratta di rapporti di lavoro speciali in cui la gestione e il versamento dei contributi previdenziali seguono modalità diverse rispetto ai lavoratori subordinati ordinari.
Per questo motivo, la legge stabilisce che le prestazioni economiche, inclusa quella della maternità, sono totalmente a carico dell’ente stesso.
I trattamenti economici variano a seconda che l’astensione sia obbligatoria oppure facoltativa.
Nel primo caso, è assicurata una prestazione pari all’80% della retribuzione giornaliera percepita nel mese precedente l’inizio del congedo. Questo importo viene garantito a copertura di tutti i 5 mesi di astensione dal lavoro.
A questo poi, se previsto dal CCNL applicato in azienda, potrebbe aggiungersi un’ulteriore integrazione economica completamente a carico del datore di lavoro.
Lo scopo è quello di garantire un livello retributivo adeguato alle esigenze di vita della neo mamma e del nascituro.
Per la facoltativa, invece, il sussidio si riduce al 30% a patto che la lavoratrice ne usufruisca entro i 6 anni del figlio. Per gli anni successivi, ma comunque entro gli 8, l’indennità verrà corrisposta solo se il reddito complessivo della richiedente è inferiore a una certa soglia, ovvero 2,5 volte l’importo minimo di pensione.
Attenzione: se la lavoratrice decide di astenersi nel periodo che va tra i 9 e i 12 anni di vita del figlio, l’INPS non versa l’indennizzo.
È possibile distinguere le due tipologie di congedo soprattutto in ragione dei tempi massimi di fruizione.
Con l’obbligatorio, infatti, la lavoratrice deve astenersi per massimo 5 mesi fruibili a scelta 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo oppure 1 mese prima e 4 mesi dopo. La donna, se non presenta complicanze cliniche, può astenersi anche solo a parto avvenuto.
Nel facoltativo, invece, se i genitori fruiscono del congedo contemporaneamente, il tempo massimo è pari a 10 mesi. Di contro, se a fruirne è solo la madre i mesi vengono ridotti a 6.
È importante però che la madre, il padre oppure entrambi decidano di non lavorare entro i 12 anni del figlio.
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