È ammissibile la ripetizione del periodo di prova, in successivi contratti e presso uno stesso datore di lavoro, se necessaria per ulteriori verifiche della professionalità del dipendente
Un datore di lavoro ha licenziato un dipendente, per mancato superamento del periodo di prova, perché aveva adottato un comportamento scorretto durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Il dipendente si è rivolto al giudice, contestando il licenziamento in prova, in quanto aveva già svolto in passato le stesse mansioni, nei confronti dello stesso datore di lavoro, per un periodo di circa 7 mesi.
È ammessa la ripetizione del periodo di prova, in successivi contratti, per le stesse attività e nei confronti dello stesso datore di lavoro? E a quali condizioni è consentita?
Il patto di prova è uno strumento che consente ad entrambe le parti – lavoratore e datore di lavoro – di verificare la convenienza reciproca alla sottoscrizione del contratto di lavoro.
Questo patto deve essere stipulato prima o all’inizio del rapporto lavorativo e richiede sia la forma scritta che la specifica indicazione delle mansioni che il lavoratore dovrà svolgere.
In mancanza di questi requisiti il patto di prova non può essere considerato valido.
La durata massima dipende dal livello di inquadramentoServe a classificare il personale dipendente in base alla categoria, alla qualifica professionale e alle attività concretamente svolte (mansioni). Da esso dipende il trattamento economico e normativo applicato al singolo dipendente. More e può essere al massimo di 6 mesi, mentre non è prevista una durata minima, che varia a seconda del contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More applicato, delle mansioni da svolgere e del livello di inquadramento del lavoratore.
Durante il periodo di prova entrambe le parti possono, in qualunque momento, porre fine al rapporto di lavoro, senza preavviso e senza fornire motivazione.
La Corte di CassazioneÈ l’organo di vertice della magistratura ordinaria italiana e rappresenta l’ultimo grado di giudizio ricorribile. Ad essa spetta, in via definitiva, l’ultima parola sulla legittimità o meno di una sentenza. More, pronunciandosi sulla questione, ha ritenuto legittima la ripetizione del patto di prova (Sentenza n. 22809 del 12 settembre 2019).
I giudici hanno sottolineato che la prova è diretta a verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del dipendente in relazione allo svolgimento della prestazione.
Si tratta di elementi che possono modificarsi nel corso del tempo per l’intervento di vari fattori, come le abitudini di vita o le condizioni di salute.
Di conseguenza, il periodo di prova può essere ripetuto, se ciò è necessario al datore di lavoro per un’ulteriore verifica del comportamento complessivo del lavoratore, rilevante per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Questo è possibile quando si tratta di mansioni nuove o diverse, oppure è passato un notevole lasso di tempo dalla precedente assunzione, o ancora quando il contesto lavorativo in cui si inserisce il dipendente è diverso dal precedente.