In questa puntata di “Lavoro in pillole” la consulente Marta Zago parlerà del congedo di maternità e cioè del periodo di astensione obbligatoria al lavoro a cui la futura mamma non può mai rinunciare.
Come funziona? La lavoratrice deve fare domanda? Vediamo insieme i passaggi principali.
Innanzitutto, è bene sapere che in fase di assunzione, la lavoratrice non è tenuta a comunicare al datore il suo stato di gravidanza, nemmeno se è assunta con un contratto a termine.
Tuttavia, una volta instaurato il rapporto di lavoro, per fruire dei congedi previsti dalla legge è necessario richiedere il certificato medico di gravidanza, che viene rilasciato direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale o da ente convenzionato. Al suo interno è riportata la data presunta del parto.
I certificati comunque possono essere consultati dal datore in qualsiasi momento direttamente sul sito dell’INPS.
Ma come funziona il congedo di maternità?
Nato sotto il nome di astensione obbligatoria, oggi prevede che la donna non possa lavorare per un periodo complessivo di 5 mesi fruibili a scelta:
In quest’ultimo caso, è importante che il medico del sistema sanitario nazionale e il medico competente ai fini della sicurezza sul lavoro certifichino che la lavoratrice, posticipando il congedo, non incorre in rischi per la salute propria e del nascituro.
Attenzione: la lavoratrice non può mai rinunciare all’astensione obbligatoria dal lavoro. Eventuali ferie sostitutive, infatti, non possono essere godute.
Per usufruire del congedo di maternità, la lavoratrice deve presentare domanda all’INPS generalmente entro i 2 mesi precedenti la data presunta del parto.
È possibile fare domanda direttamente online sul sito dell’INPS, accedendo con SPID o Carta d’identità in formato elettronico (CIE), allegando alla domanda una copia del certificato di gravidanza.
Attenzione: il termine massimo per presentare la domanda è entro 1 anno dalla fine del periodo coperto da tutela INPS.
Dopo il parto, invece, la lavoratrice dovrà comunicare all’INPS, entro 30 giorni, la data di nascita e le generalità del figlio.
Una volta che la domanda è stata accolta, l’INPS riconosce l’80% della retribuzione goduta nel mese o nelle quattro settimane precedenti a quelle in cui ha avuto inizio il congedo.
A seconda della tipologia di lavoratrici avremo:
Attenzione: all’indennità INPS potrebbe seguire l’obbligo per il datore di lavoro di integrare la retribuzione della lavoratrice al fine di renderla il più possibile pari a quella che avrebbe percepito se avesse lavorato.
Le percentuali di integrazione sono previste dai diversi Contratti collettivi applicati dalle aziende e variano da settore a settore, e da CCNL a CCNL.
Come interagiscono cassa integrazione, Naspi e malattia con la maternità?
Nel periodo di gravidanza la lavoratrice potrà essere messa in cassa integrazione solo se è sospesa tutta l’azienda o il reparto cui è adibita. Nel periodo di godimento del congedo di maternità, invece, la cassa integrazione non può mai essere attivata.
Se la lavoratrice in gravidanza si dimette, in eccezione alla regola, ha diritto alla Naspi. Quando invece, è disoccupata, la maternità viene corrisposta solo se non siano trascorsi più di 60 giorni tra la sospensione dal lavoro e l’inizio del congedo. Se vengono superati, viene erogata solo se la lavoratrice percepisce la NaSpi.
Infine, ogni malattia insorta durante la maternità obbligatoria non può essere indennizzata, perché l’INPS copre già ogni eventuale indennità di malattia per mezzo del congedo.