Scopriamo insieme tutti i poteri e i limiti dell’azienda nell’eliminazione dei benefit concessi ai lavoratori
Se un dipendente acquisisce il diritto di utilizzare l’auto aziendale anche fuori dall’orario lavorativo, o se l’azienda paga per lui l’affitto di un appartamento o lo ospita in un immobile di sua proprietà, è possibile che tali benefit vengano improvvisamente eliminati senza il consenso esplicito del lavoratore?
Stando a una recente sentenza della Corte d’AppelloÈ l’organo che, nel sistema giudiziario italiano, è competente a giudicare sulle impugnazioni delle sentenze pronunciate dal Tribunale. More di Milano, assolutamente sì: il giudice del caso, infatti, ha ritenuto che l’azienda abbia il diritto di revocare unilateralmente i fringe benefitl’insieme dei vantaggi concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti come forma remunerativa complementare alla retribuzione principale (per es. auto a disposizione, borse di studio, viaggi premio, ecc.) More nel caso in cui non siano funzionalmente collegati allo svolgimento dell’attività lavorativa. Ma di quali benefit parliamo di preciso?
Solitamente, il termine “fringe benefit” viene associato alla già citata auto aziendale concessa in uso promiscuo o, eventualmente, ai noti buoni pasto. In realtà, però, tale categoria include molti altri benefici, servizi e prodotti che l’azienda può riconoscere a favore dei propri lavoratori: borse di studio per i figli dei dipendenti, rimborsi dei costi per il trasporto pubblico, contributi per i collaboratori domestici e non solo.
Prima di approfondire la domanda centrale dell’articolo, è necessario sottolineare un principio fondamentale del nostro ordinamento: quello dell’irriducibilità della retribuzione. In altre parole, la legge stabilisce chiaramente che il datore di lavoro non può decidere unilateralmente di ridurre o abbassare lo stipendio concordato con il lavoratore. Tale regola a garanzia del dipendente ha l’obiettivo di evitare che l’azienda, ossia la parte più forte del rapporto, possa diminuire la retribuzione in base a decisioni interne improvvise.
Se, come detto, il datore di lavoro non ha il diritto di ridurre improvvisamente la retribuzione di un dipendente, la Corte di Cassazione ha affermato chiaramente che tale divieto “non si estende, invece, ai compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati” (sentenza 38169/2022). Nel caso in oggetto, la concessione temporanea di un alloggio al lavoratore era legata ad una specifica esigenza lavorativa che, una volta venuta meno, non giustificava più il riconoscimento del benefit.
La Corte di Cassazione si è espressa di recente anche su un caso relativo alla revoca unilaterale dell’auto aziendale. Un dipendente, una volta andato in pensione, ha chiesto il risarcimento del danno subìto a causa del mancato utilizzo dell’auto aziendale, diritto revocato in modo unilaterale dal datore di lavoro. La Suprema Corte, con la sentenza 23205/2023, ha tuttavia rigettato definitivamente la domanda dell’uomo, ribadendo che “il principio di irriducibilità non si estende alle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa”.
A tal fine, per determinare se il benefit sia collegato o meno alla specificità delle prestazioni lavorative, bisogna necessariamente guardare che cosa è stato stabilito al momento del riconoscimento del beneficio.
Per quanto riguarda l’auto aziendale, se questa è stata assegnata facendo riferimento allo svolgimento delle prestazioni lavorative, è possibile che il beneficio venga revocato una volta venute meno tali esigenze (ad esempio, nel caso in cui il lavoratore venga assegnato a lavori in sede). Al contrario, se il benefit è stato attribuito senza alcuna precisazione e senza alcun limite temporale, non sarà possibile revocarlo senza il consenso del lavoratore.
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