Se l’infortunio è causato da una mancata formazione in merito a rischi e pericoli sul lavoro, le assenze non contribuiscono al “periodo di comporto”
In una recente sentenza destinata a far discutere, la Corte d’AppelloÈ l’organo che, nel sistema giudiziario italiano, è competente a giudicare sulle impugnazioni delle sentenze pronunciate dal Tribunale. More di Messina ha stabilito l’illegittimità del licenziamento per una lavoratrice che aveva superato il limite legale di assenze per malattia.
La donna, fisioterapista da molti anni, si era assentata dal lavoro per diversi mesi dopo una diagnosi di sindrome del tunnel carpale. Superato il periodo di assenza previsto dalla legge, il datore di lavoro ha deciso di licenziarla per giusta causa.
Dopo aver analizzato il caso, la Corte ha tuttavia stabilito che i giorni di assenza per malattia o infortunio derivanti da una mancata formazione imputabile all’azienda vanno sottratti dal conteggio totale delle assenze, ritenendo il licenziamento della donna illegittimo e immotivato e decretando la reintegra sul posto di lavoro.
Per comprendere bene il caso in oggetto bisogna partire da una definizione: quella di “periodo di comporto”, ossia il periodo di assenza per malattia o infortunio durante il quale il lavoratore non può legalmente essere licenziato.
L’ordinamento italiano stabilisce, infatti, specifiche tutele per i lavoratori durante la malattia, sia dal punto di vista economico che sul piano previdenziale e normativo: il dipendente ammalato o infortunato ha diritto a mantenere il proprio posto di lavoro e non può essere licenziato per il semplice fatto di non essere in grado di svolgere i propri compiti.
La normativa di riferimento in tal senso è l’articolo 2110 del codice civile, secondo cui “in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio […] è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali […]”. Una volta decorso il periodo di tutela stabilito dalla legge, ossia il già citato periodo di comporto, “l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118”.
La normativa non stabilisce una specifica durata valida per tutte le categorie di lavoratori. Solitamente è il singolo CCNL a illustrare nel dettaglio i limiti delle assenze per malattia per il settore di riferimento, ed è quindi in tale documento che il lavoratore potrà trovare maggiori informazioni in merito alle tutele previste dalla legge.
Ma cosa succede concretamente quando un dipendente si infortuna, e quali sono i suoi diritti? Poniamo l’esempio di un operaio che riporti una frattura a causa della caduta dall’alto di materiali non custoditi in modo consono: i giorni di assenza per malattia, essendo dovuti a una mancanza del datore di lavoro, andranno in questo caso inclusi o meno nel periodo di comporto?
In effetti, molti contratti collettivi prendono in considerazione ipotesi del genere, escludendo espressamente dal periodo di comporto i giorni di assenza causati da errori del datore di lavoro. Tuttavia, anche laddove un contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More non affrontasse questa circostanza, la legge stabilisce comunque che tali assenze non debbano essere incluse nei giorni totali del comporto, “ove la patologia sia imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza”.
Nel caso esaminato dalla Corte d’Appello di Messina è stato accertato che la patologia lamentata dalla lavoratrice – la sindrome del tunnel carpale – era stata provocata da una modalità di lavoro errata.
Tuttavia, se l’azienda avesse impartito la giusta formazione alla donna, quest’ultima avrebbe potuto svolgere la propria attività rispettando le norme in tema di prevenzione degli infortuni.
L’articolo 37 del Testo Unico sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro obbliga, infatti, l’azienda a informare e formare i propri dipendenti, tra le altre cose, in merito “ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione”.
Inoltre, stabilisce l’articolo, l’obbligo non viene assolto semplicemente fornendo informazioni all’inizio del rapporto lavorativo, ma deve includere necessariamente anche una formazione periodica.
Secondo la Corte messinese, “nel caso in cui il datore di lavoro non [abbia] rispettato l’obbligo di formazione sulla sicurezza previsto dall’art. 37 T.U. Sicurezza, l’infortunio/la malattia professionale devono essere esclusi dal comporto anche se il datore di lavoro ha rispettato l’obbligo di tutela della salute previsto dall’art. 2087 c.c.”.
In effetti, ha specificato la Corte, “non è sufficiente che l’azienda abbia assolto all’obbligo di informazione sui rischi generali e su quelli specifici di ciascuna attività, perché la formazione si integra [anche] con gli obblighi informativi. Le informazioni offrono il necessario bagaglio di conoscenze, la formazione consente di tradurre queste nozioni sul piano operativo”.
Detraendo quindi dal numero totale di assenze quelle dovute all’infortunio sul lavoro causato dalla mancata formazione, la lavoratrice avrebbe avuto diritto alla conservazione del posto di lavoro: il licenziamento è stato, dunque, dichiarato illegittimo ed è stata stabilita la reintegra immediata.
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