Scopri i limiti, le condizioni e le eventuali sanzioni per i dipendenti che svolgono attività lavorative o extra-lavorative durante la malattia
Sul periodo di “malattia dal lavoro” aleggiano spesso leggende e luoghi comuni, molti dei quali totalmente infondati. Si pensa, ad esempio, che durante la malattia sia vietato uscire di casa, anche se in realtà sarà sufficiente rimanere a casa durante l’orario delle visite fiscali, che avvengono in fasce temporali ben definite.
Molti, inoltre, credono che durante la malattia non sia possibile portare avanti un’altra attività lavorativa. Ma le cose stanno davvero così?
Lo diciamo subito: contrariamente alle aspettative, è in realtà possibile svolgere un altro lavoro durante la malattia, a patto però che tali attività non aggravino o ritardino la guarigione. Ma cosa significa di preciso?
Prima di approfondire la questione, non possiamo che partire dalle basi: che cos’è la malattia?
In generale, la malattia è un evento patologico che colpisce il lavoratore e che costituisce causa di sospensione dell’attività lavorativa. Può avere origine nel contesto lavorativo (la cosiddetta “malattia professionale”) oppure scaturire da una causa esterna.
In entrambi i casi la malattia sospende, per tutto il periodo e fino all’avvenuta guarigione, l’esecuzione della prestazione lavorativa. Il lavoratore sarà tenuto a informare tempestivamente l’azienda e ad attivarsi affinché venga trasmesso il certificato medico.
Così come l’azienda non potrà pretendere che il dipendente rientri al lavoro prima dell’avvenuta guarigione, anche il lavoratore sarà tenuto a comportarsi in modo tale da non pregiudicare e ritardare la ripresa. Sebbene non espressamente codificato dalla normativa sul lavoro, questo obbligo emerge dai principi generali di buona fede e diligenza nello svolgimento del rapporto.
Di conseguenza, come detto all’inizio, il dipendente in malattia potrà sì svolgere altri lavori, ma solo a condizione che tali attività non aggravino o pregiudichino la guarigione.
Ad esempio, nel caso di un infortunio al piede, il lavoratore potrà tranquillamente esibirsi come musicista, ma non potrà lavorare come personal trainer; d’altro canto, per un lavoratore affetto da depressione, l’attività fisica potrebbe invece rivelarsi addirittura terapeutica.
Tali principi sono stati ribaditi anche da una recente sentenza della Suprema Corte, la numero 12994 del 2023, che ha dichiarato legittimo il licenziamento di un dipendente a cui era stata contestata l’esecuzione di attività lavorativa ed extralavorativa durante il periodo di malattia.
In particolare, nonostante un infortunio agli arti inferiori, il lavoratore sarebbe stato visto intento a guidare il motorino, spostare scatoloni, scaricare materiale edile e fare lunghe passeggiate. Riprendendo alcune precedenti sentenze, la Cassazione ha affermato nuovamente che “è noto che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configuri violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna (…) possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”.
Nel caso in cui il dipendente svolga attività non consentite si esporrà quindi a provvedimenti disciplinari molto gravi. Tralasciando la più importante ipotesi di simulazione dello stato di malattia, il lavoratore potrebbe ricevere una contestazione disciplinare, le cui conseguenze dipenderanno dai vari contratti collettivi, dalla gravità e dalla frequenza delle violazioni.
Non è inoltre escluso, nei casi più importanti – come quello giudicato di recente dalla Corte di Cassazione – che il lavoratore possa essere licenziato per giusta causa.
Leggi anche:
Malattia e infortunio sul lavoro: le 5 differenze da sapere