Le 5 cose da sapere prima di dare le dimissioni

Le 5 cose da sapere prima di dare le dimissioni
(foto Shutterstock)

Cinque risposte alle domande più frequenti nei casi in cui il lavoratore decide di interrompere il rapporto

Il momento delle dimissioni è uno dei più critici nella carriera lavorativa, dunque è importante conoscere gli aspetti principali della normativa che disciplinano questa fase. 

Su questo argomento si rincorrono falsi miti, notizie false o imprecise, vulgate popolari. Facciamo un po’ di chiarezza su cinque aspetti da sapere prima di compiere questo passo.

Dimissioni, non licenziamento

“Mi sono licenziato” è una delle frasi più pronunciate da tutti quelli che lasciano il proprio posto di lavoro. In realtà è un’espressione sbagliata. Se – come recita Nanni Moretti – “le parole sono importanti”, è necessario tenere distinte le due ipotesi. 

Infatti, il lavoratore non si licenzia, ma si dimette. Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro esercita il potere di recesso, ossia provoca la fine del rapporto contrattuale di lavoro. Il licenziamento è dunque espressione dell’esclusivo potere datoriale. 

Invece, quando il dipendente esercita il proprio potere di recesso, si verifica l’ipotesi delle dimissioni dal posto di lavoro. Pertanto, l’espressione corretta da usare non è “mi sono licenziato”, ma “mi sono dimesso” oppure “ho dato le dimissioni”.

Contratto a termine: dimissioni non si possono dare

C’è un secondo aspetto molto importante: la legge e i contratti collettivi ne parlano esclusivamente con riferimento ai contratti di lavoro a tempo indeterminato

Perché questa scelta? Perché nel nostro ordinamento c’è un principio generale che sancisce che in tutti i rapporti a tempo indeterminato deve essere prevista la facoltà delle parti di recedere, ossia porre fine al rapporto.

Diversamente, nei rapporti contrattuali di durata, come i contratti di lavoro a tempo determinato, proprio perché le parti si sono impegnate a tenere in vita il rapporto per un tempo ben preciso, il lavoratore non è libero di dimettersi, nemmeno rispettando il preavviso. In questi casi, sono ammesse solo per giusta causa.

Che cos’è e quanto dura il preavviso?

Il preavviso è il periodo di tempo che intercorre tra la comunicazione delle dimissioni e l’effettiva cessazione del rapporto. La durata del preavviso non è prevista dalla legge e non c’è un termine uguale per tutti.

Per capire quanto dura il preavviso è necessario fare riferimento al contratto collettivo applicato. Solitamente, questo periodo varia in base all’inquadramento e all’anzianità lavorativa: maggiore è l’anzianità e il livello, più lungo è il periodo di preavviso. 

Facciamo un esempio concreto: una commessa inquadrata al quarto, con una anzianità lavorativa di 4 anni, secondo il ccnl commercio applicato dall’azienda deve rispettare un preavviso di 15 giorni di calendario “a decorrere dal primo o dal sedicesimo giorno di ciascun mese”. 

Dunque, se comunica di volersi dimettere il giorno 2 marzo 2023, dovrà lavorare fino al 30 marzo 2023, data in cui il rapporto termina definitivamente.

È sempre necessario il preavviso?

No. Il preavviso rappresenta la modalità di cessazione del rapporto ordinaria. Tuttavia, ci possono essere delle situazioni più complicate o patologiche:

  • il dipendente dà le dimissioni con efficacia immediata, senza rispettare il periodo di preavviso. In questo caso, il rapporto termina immediatamente, ma l’azienda tratterrà dalle competenze di fine rapporto, gli emolumenti pari al periodo di preavviso non lavorato.
  • la seconda ipotesi riguarda la giusta causa, ossia il caso in cui il lavoratore si dimette a causa di gravissimi inadempimenti dell’azienda, come il mancato pagamento degli stipendi o gravi carenze nella sicurezza sul lavoro. In questi casi, non c’è l’obbligo di rispettare il preavviso e quindi il rapporto può terminare immediatamente.

Dimissioni e disoccupazione

“Se mi dimetto perdo la disoccupazione” è un’altra frase sentita e risentita. Come tutte le vulgate popolari ha una parte di verità e un po’ di imprecisione. 

L’indennità di disoccupazione spetta anche in particolare ipotesi di dimissioni del lavoratore. E infatti la NASpI (come viene chiamata oggi) è uno strumento che tutela il dipendente che si ritrova in uno stato di disoccupazione involontaria

È chiaro che tale scenario non si verifica nel caso in cui il lavoratore si dimetta perché, ad esempio, ha trovato una nuova e migliore occupazione.

Diversamente, ci possono essere dei casi di dimissioni in cui invece l’indennità è garantita. Vediamo qualche esempio:

  • giusta causa;
  • lavoratrice madre nel periodo tutelato: in questo caso, indipendentemente dalla giusta causa, la dipendente ha diritto alla disoccupazione;
  • motivi di salute: è un tema ancora molto dibattuto in giurisprudenza, con sentenze che riconoscono la NASpI anche in caso di dimissioni per la presenza di patologie che rendono impossibile proseguire il rapporto, e altre sentenze che invece la escludono.

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