Disciplina e particolarità del rapporto di lavoro a tempo determinato. Quando può essere attivato, quanto dura, quando può essere rinnovato
Il contratto a termine è una delle modalità più frequenti con cui si comincia un rapporto di lavoro. Nel 2021, secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro il 23 settembre 2022, questa tipologia ha rappresentato il 70% delle nuove posizioni lavorative.
Il motivo di questa larga diffusione sta nel fatto che molte aziende lo utilizzano come un lungo periodo di prova in cui testare le capacità del lavoratore che, alla scadenza, può essere “confermato” con la conversione del rapporto a tempo indeterminato.
Questo contratto, inoltre, garantisce una maggiore flessibilità e consente alle aziende di far fronte, ad esempio, a esigenze temporanee. Ci sono però delle regole precise che disciplinano questo rapporto per evitare abusi e per tutelare i lavoratori. Norme speciali, inoltre, sono previste per i rapporti di lavoro stagionale.
Questo contratto è disciplinato dal decreto legislativo n. 81 del 2015, modificato, nel 2019, dal Decreto Dignità. Sono due i temi che hanno sempre accompagnato le discussioni su questo tema: la durata e le causali.
Attorno a questi due aspetti si sono succedute le discipline normative, di tenore diverso rispetto all’orientamento e alla sensibilità dei vari governi, favorevoli o meno a una disciplina rigida o flessibile di questa forma contrattuale.
Oggi, secondo l’art. 19 del decreto legislativo 81 del 2015, la durata massima non può superare i 24 mesi. Significa che un dipendente non può essere assunto, a termine, per più di 2 anni presso la stessa azienda.
E attenzione a un aspetto: per evitare facili raggiri della normativa, nel calcolo si devono considerare anche tutti precedenti rapporti intercorsi con lo stesso datore di lavoro, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro.
Non sempre le aziende possono assumere un dipendente con un contratto a termine di 24 mesi. Infatti, la normativa prevede che l’assunzione sia libera e svincolata da qualsiasi presupposto, se il rapporto non ha una durata superiore a 12 mesi.
Viceversa, se la durata è superiore ai 12 mesi, oppure si tratta di un rinnovo di un precedente rapporto, oppure di una proroga di un rapporto che supera i 12 mesi, devono sussistere delle precise “causali”, ossia:
1) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, oppure esigenze di sostituzione di altri lavoratori
2) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Le “causali” devono essere espressamente indicate per iscritto nella lettera di assunzione o nel contratto di lavoro. Se non sono indicate oppure non sono veritiere, il lavoratore può impugnare il contratto a termine e chiedere la costituzione del rapporto a tempo indeterminato e il risarcimento del danno fino a 12 mensilità. Il legislatore, dunque, punisce con severità l’abuso di questa forma contrattuale al di fuori delle ipotesi consentite.
È opportuno distinguere due casistiche, che spesso, nella pratica, vengono confuse. Facciamo un po’ di chiarezza:
È importante tenere distinte le due ipotesi perché sono disciplinate in modo diverso.
Ad esempio, è possibile prorogare liberamente, senza causali, qualsiasi rapporto, a condizione che non si superino i 12 mesi. Viceversa, qualsiasi rinnovo, anche se la durata non supera i 12 mesi, deve essere sempre giustificato da una delle causali viste in precedenza.
Qual è il numero massimo di proroghe? Quattro nell’arco di massimo 24 mesi: se ne viene effettuata una quinta o si supera la durata massima, il rapporto viene convertito a tempo indeterminato. Mentre, per quanto riguarda i rinnovi, non c’è un limite, ferma restando la durata massima di 24 mesi.
Leggi anche:
Lavoro stagionale, si può essere sempre assunti a termine?