Il Tribunale di Parma ha annullato il licenziamento e reintegrato il lavoratore che era stato licenziato perché minacciava l’intervento dell’Ispettorato
Il Tribunale di Parma, con la sentenza del 16 febbraio 2023, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato dalla società nei confronti del lavoratore che aveva manifestato la propria volontà di presentare un esposto all’Ispettorato del Lavoro.
La corte ha quindi decretato che il lavoratore deve essere reintegrato e devono essere pagate tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento fino all’effettiva ripresa del servizio.
È il provvedimento con cui l’azienda espelle un proprio lavoratore per il solo fatto di aver esercitato o rivendicato un proprio diritto. Si pensi, per fare degli esempi concreti, al licenziamento dopo lo sciopero oppure dopo l’iscrizione a un sindacatoÈ un’organizzazione che ha il compito di rappresentare e difendere i diritti e gli interessi di categoria dei lavoratori o dei datori di lavoro. More oppure dopo aver promosso una causa per vedersi riconosciuti i propri diritti.
La legge e la giurisprudenza non danno una definizione precisa di licenziamento ritorsivo. La normativa parla più genericamente di licenziamento dovuto a motivo illecito determinante, così ricomprendendo più genericamente tutte le varie fattispecie. Non solo. Secondo la giurisprudenza il motivo ritorsivo deve essere l’unico ed esclusivo che ha ispirato il licenziamento.
Tocca al lavoratore dimostrare che si tratta di una ritorsione da parte dell’azienda. Non è un’operazione semplice perché in pochissimi casi la società esplicita, nella contestazione disciplinare e nella lettera di licenziamento, la motivazione ritorsiva del provvedimento.
Molto più frequentemente, l’intento ritorsivo viene “mascherato” da un licenziamento adottato per un motivo pretestuoso. Ecco perché, nella maggior parte dei casi, l’operazione preliminare consiste nell’accertare l’infondatezza delle motivazioni “apparenti” del licenziamento. Una volta eseguita questa operazione, si passa alla disamina della natura ritorsiva del provvedimento espulsivo.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Parma, il lavoratore è stato agevolato perché l’azienda aveva contestato al dipendente proprio il fatto di aver dichiarato di voler presentare un esposto all’Ispettorato del lavoro.
La società aveva ritenuto questo comportamento come una “minaccia in stile mafioso” e (anche) sulla base di questa contestazione ha stabilito il licenziamento. Secondo il Tribunale, in realtà, questa reazione ha natura discriminatoria.
Si legge in sentenza che “la particolare gravità del termine utilizzato per descrivere il comportamento del lavoratore (“camorristico”) fa trapelare una profonda insofferenza e ostilità del datore di lavoro contro le rivendicazioni avanzate dal lavoratore circa la correttezza del trattamento retributivo ricevuto e delle altre condizioni di lavoro”.
A questo atteggiamento, secondo la Giudice, deve aggiungersi la reazione della società alle richieste di chiarimenti sulle buste paga (“questa è la paga; se non ti sta bene, dai le dimissioni”; “tu non devi lamentarti e devi solo ringraziare se hai un lavoro”).
In termini giuridici, quando si parla di un atto o un contratto “nullo”, si ritiene che tale atto o contratto non siano mai esistiti. La nullità è infatti il vizio più grave che può colpire un atto o un negozio giuridico, talmente grave che, secondo le previsioni normative, è come se non fosse mai esistito.
Lo stesso vale per il licenziamento nullo: secondo la legge non ha alcun effetto. Quali sono le conseguenze? Le due fonti normative che regolano la nullità del licenziamento, ossia l’articolo 18 dello Statuto dei LavoratoriSi tratta della legge 300/1970, che ha introdotto importanti norme a tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale, dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento More e il decreto legislativo 23 del 2015,
prevedono le stesse conseguenze in caso di licenziamento nullo, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda, cioè:
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