Le 5 cose da sapere in caso di licenziamento

ragazza licenziata
(foto Shutterstock)

Il licenziamento è un’esperienza dolorosa. Preannunciato o imprevisto, giusto o ingiusto, fondato o meno, è il peggior momento della vita lavorativa di ogni dipendente.

Non si è mai abbastanza preparati a subirlo (o gestirlo), ma un modo per viverlo in maniera meno traumatica possibile consiste nel conoscere le regole che regolano il potere disciplinare del datore di lavoro

Queste regole consentono di avere dei punti fissi, delle coordinate attorno alle quali orientarsi in giorni di profondo smarrimento. E magari trovare la soluzione e tutelarsi nel modo più efficace: in questo articolo te le spieghiamo a una a una.

Sono stato davvero licenziato?

Non è affatto una domanda stupida o provocatoria. Spesso si fa confusione tra lettera di contestazione disciplinare e il successivo licenziamento, ma si tratta di due comunicazioni diverse, che hanno delle tempistiche e delle finalità differenti e che vanno dunque distinte.

 La contestazione disciplinare è la prima comunicazione che deve essere inviata al lavoratore. Senza la notifica di questa comunicazione, non può esserci nessuna sanzione disciplinare. 

È la regola fondamentale del nostro ordinamento e si applica a tutti i rapporti di lavoro, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda. È prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, secondo cui: “Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa”.

Pertanto, l’azienda deve sempre formalizzare per iscritto al lavoratore la contestazione disciplinare prima di procedere con il licenziamento. Si tratta di un obbligo che deve essere rispettato anche nei casi più gravi. 

È la dimostrazione che, nel nostro ordinamento, non esiste il licenziamento in tronco: nessuno può essere licenziato senza che prima sia stato avviato il procedimento disciplinare.

Ti hanno avvisato che puoi difenderti?

La formalizzazione della contestazione disciplinare ha una doppia funzione.

In primo luogo, serve a indicare i fatti e le condotte contestate al dipendente. Per questa ragione, la comunicazione deve essere specifica, sia dal punto di vista descrittivo, sia con riferimento al contesto temporale. 

Deve anticipare la volontà dell’azienda di procedere con il licenziamento? No, l’azienda può limitarsi a sottolineare la gravità dei fatti, senza anticipare quale sanzione potrebbe essere applicata alla fine del procedimento.

In secondo luogo, serve ad avvertire il lavoratore che in merito ai fatti a lui contestati egli ha diritto a difendersi, personalmente o per mezzo di un proprio rappresentante sindacale. Insomma, nella contestazione disciplinare deve essere scritto che hai il diritto di difenderti dalle accuse che ti vengono fatte.

Entro quando devo impugnare il licenziamento?

Facciamo innanzitutto chiarezza sul termine: impugnare il licenziamento significa contestarlo a livello legale. Se dunque ti viene comunicato il licenziamento, hai il tempo per rivolgerti al sindacato o a un legale per poter gestire i tuoi interessi nel modo più efficace possibile.

I termini di impugnazione sono due:

  • 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento per l’impugnazione stragiudiziale. Si tratta di una comunicazione molto semplice e sintetica con la quale il lavoratore manifesta la propria volontà di impugnare il licenziamento. Non deve indicare le ragioni dell’impugnazione, è sufficiente una semplice dichiarazione.
  • 180 giorni dall’impugnazione precedente per depositare il ricorso giudiziale in Tribunale o per presentare istanza di conciliazione avanti l’Ispettorato del lavoro, nel caso in cui l’azienda non accolga la prima impugnazione o non si trovi un accordo tra le parti.

È necessario prestare molta attenzione a questi due termini perché il superamento comporta la decadenza dall’impugnazione, cioè si perde il diritto a controbattere sul licenziamento subito.

Come funziona il ricorso in Tribunale?

Con il ricorso in Tribunale, il lavoratore deve contestare la fondatezza del licenziamento subito. Le difese possono riguardare:

  • vizi della procedura disciplinare, ad esempio la mancata audizione a difesa del lavoratore che l’aveva chiesta;
  • la fondatezza dei fatti contestati;
  • la natura ritorsiva del provvedimento;
  • l’applicazione di una sanzione troppo severa rispetto a quanto previsto dal contratto o dalla legge.

Abbiamo visto che è un onere del lavoratore introdurre il giudizio di impugnazione (cioè è quest’ultimo che deve presentarlo in Tribunale, non è compito dell’azienda farlo). Questo però non significa che incomba sempre su di lui l’obbligo di dimostrare l’infondatezza dei fatti contestati. Infatti, è sempre l’azienda che deve allegare e dimostrare, con estrema precisione, la fondatezza dei fatti contestati al lavoratore.

Ho diritto alla NASpI?

La risposta è sì: si percepisce l’indennità di disoccupazione anche in caso di licenziamento per giusta causa. È un falso mito quello che, in caso di fatti gravi, il dipendente perde la disoccupazione. 

In realtà, la NASpI è prevista in tutti i casi di perdita involontaria del posto di lavoro e tra queste ipotesi rientra anche il licenziamento disciplinare. Si tratta, infatti, di una decisione che non è stata assunta dal dipendente ma che è stata presa dal datore di lavoro.

 

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