Un operaio specializzato con mansioni di incisore, dopo una lunga malattia durata sette mesi, ha ricevuto una lettera di licenziamento senza aver prima potuto riprendere effettivamente servizio. Il documento indicava come giustificazione la necessità di chiudere, per il calo di commesse, il settore produttivo dove lavorava, con la conseguente eliminazione della posizione e della funzione ricoperta dal lavoratore in azienda e con l’impossibilità di ricollocamento in altre mansioni uguali o equivalenti. Successivamente al licenziamento, la società provvedeva però ad assumere una nuova figura per svolgere le stesse attività a cui era precedentemente stato assegnato il lavoratore licenziato.
Il lavoratore che rientra in servizio dopo un lungo periodo di malattia può essere licenziato per motivi legati alla riorganizzazione aziendale?
La Cassazione ha dichiarato la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo. I Giudici hanno applicato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratoriSi tratta della legge 300/1970, che ha introdotto importanti norme a tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale, dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento More (l. 300/1970) e condannato la società a:
Non si era in presenza di un’ipotesi di riorganizzazione aziendale, ma di un’ipotesi di ritorsione.
Nel caso di ipotesi di licenziamento per ritorsione, il lavoratore ha il dovere di provare il carattere illegittimo del provvedimento messo in atto dal datore di lavoro.
Secondo la Cassazione questo dovere è stato assolto in pieno dal dipendente. Infatti, ha dimostrato in modo certo l’inconsistenza delle motivazioni presentate dall’azienda, che riguardavano la falsa riorganizzazione aziendale oltre a mettere in evidenza la coincidenza temporale del licenziamento con il rientro dalla malattia, confermando così la natura ritorsiva del licenziamento.
Inoltre, è stata dimostrata in modo certo l’assunzione, dopo il licenziamento, di una nuova dipendente, formalmente inquadrata come impiegata, ma di fatto addetta alle stesse lavorazioni a cui era destinato il dipendente licenziato.
Con queste motivazioni la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla società, confermando il diritto del dipendente ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro (sentenza n. 23583 del 23 settembre 2019).